Ciclo integrato Acqua in Materiali

Spunto fornito da una relazione di AQP – Bari

Sicuramente un grande Ente in Italia con un territorio molto vasto in cui la natura ha dato sfogo a tutta la sua bellezza ma rendendo molto preziosa Acqua e per questo il loro massimo sforzo è conservare e sfruttare al meglio questa Risorsa essenziale

«L’uomo aggredisce la materia

per trarne materiali aggressivi.

E la materia si vendica

distruggendo l’uomo»

(Alessandro Morandotti)

L‘INGEGNERIA DEI MATERIALI 

è un settore dell’ingegneria che si occupa di studiare e caratterizzare le proprietà dei materiali in modo da:

1  OTTIMIZZARNE L’IMPIEGO IN VARI CAMPI TECNOLOGICI;

2  MIGLIORARNE LE PRESTAZIONI;

3  STUDIARE NUOVI MATERIALI CON MIGLIORI PRESTAZIONI.

I fondamenti dell’Ingegneria dei Materiali si trovano nella:

1 CHIMICA ORGANICA e INORGANICA

2 TECNOLOGIA DEI MATERIALI polimerici, metallici, ceramici, compositi;

3 SCIENZA DELLA CORROSIONE.

MATERIALI D’ECCELLENZA per OPERE CIVILI sono:

LAPIDEI    Calcestruzzi – Ceramici

METALLICI    Acciai – Ghise

Ai quali si aggiungono, in forma di tubi, rivestimenti e guarnizioni:

PLASTICI ‘puri’                   Termoplastici, Termoindurenti, Elastomeri

‘COMPOSITI’                    Plastiche rinforzate con inerti: es. PRFV

LEGHE POLIMERICHE’     Miscele tra plastici: es. PVC-A

MULTISTRATO’                    Strati sovrapposti: es. PE-Al, PPHM

I MATERIALI IN ACQUEDOTTO

Quando viene progettato e realizzato un Acquedotto cosa si chiede al materiale che verrà impiegato

Materiali usati per “Distribuzione Acqua”

Materiali usati “Fognatura”

Per Materiali si intende

LA MATERIA PRIMA:  

L’ACCIAIO

PRO      elevata resistenza a trazione, elevata flessibilità

      duttilità, elevata durezza, elevata resistenza all’usura

      elevata resistenza al calore; ottima saldabilità

CONTRO      scarsa resistenza alla corrosione

LAGHISA SFEROIDALE

PRO       elevata resistenza a trazione (< Ac)

         elevata durezza (> Ac), elevata resistenza all’usura

         discreta flessibilità, duttilità (<Ac)

         elevata resistenza al calore.

CONTRO       modesta resistenza alla corrosione (>Ac)

       scarsa saldabilità

IL POLIETILENE

PRO  elevata resistenza ad urto e abrasione

  elevata resistenza agli agenti chimici

  elevata flessibilità

    elevata capacità d’isolamento elettrico

CONTRO  scarsa resistenza meccanica

        propagazione cricche

    scarsa resistenza a calore e raggi UV

    decadimento col tempo, sotto carico e per

    assorbimento H2O e soluti (soprattutto cloruri)

POLIPROPILENE

PRO  elevata resistenza ad urto e abrasione

  elevata resistenza agli agenti chimici

    elevata capacità d’isolamento elettrico

                      resistenza a temperature e raggi UV

CONTRO  poca elasticità 

PVC – POLICROLURO DI VINILE

PRO  elevata resistenza all’ abrasione

  elevata resistenza agli agenti chimici

      elevata capacità d’isolamento elettrico

CONTRO  scarsa resistenza meccanica

        propagazione cricche

    scarsa resistenza a calore e raggi UV

IL GRES CERAMICO

PRO  elevata resistenza a compressione  

  elevata resistenza all’abrasione

  elevata durezza; elevata resistenza chimica

  elevatissima resistenza al calore e alla fiamma

  elevata impermeabilità; longevità

CONTRO    scarsissima flessibilità

VETRORESINA O VTR

PRO  elevata resistenza all’ abrasione

  elevata resistenza agli agenti chimici

                          elevata capacità d’isolamento elettrico

              elevata resistenza meccanica

CONTRO          poca resistenza urti

scarsissima flessibilità

Utilizzo dei materiali nel “Ciclo integrato dell’Acqua”

Nella scelta del materiale da utilizzare nelle varie applicazioni Ente si basa sulla sua esperienza dovuta all’utilizzo negli anni, al tipo di terreno, utilizzando anche prodotti innovativi presenti sul mercato.

Il ciclo dell’acqua: come funziona il sistema idrico integrato?

Scritto da: Valentina D’Amora 03/01/2025

L’acqua è una risorsa limitata e vitale. Come arriva nelle nostre case? Il sistema idrico integrato garantisce una gestione efficace, sostenibile ed equa delle risorse idriche, proteggendo l’ambiente e migliorando la qualità della vita delle persone.

Da dove arriva l’acqua che sgorga dai nostri rubinetti? A quanti passaggi viene sottoposta prima di arrivare in casa nostra? Le risposte sono nel sistema idrico integrato, un modello organizzativo che comprende tutte le attività legate alla gestione dell’acqua, dalla captazione – ossia l’estrazione della risorsa in natura – sino alla depurazione per la restituzione all’ambiente. Ma quanto ne sappiamo davvero?

«Come cittadini siamo portati a vedere il servizio idrico come “l’acqua che arriva nelle nostre case”. Siamo molto meno consapevoli di cosa avviene prima e dopo», spiega Donato Berardi, responsabile degli studi su prezzi e tariffe idriche per REF Ricerche, di cui dirige anche il laboratorio sui servizi pubblici locali. Secondo lui è proprio nel prima e nel dopo il rubinetto di casa che la complessità cresce, divenendo un lavoro industriale. Vediamo più da vicino come funziona.

DALLA SORGENTE: L’ACQUA PRIMA DEL RUBINETTO

La captazione e l’adduzione sono le fasi in cui l’acqua grezza viene prelevata dalle sorgenti, per essere poi trasportata tramite acquedotti ai centri di trattamento e distribuzione. A questo punto avviene la potabilizzazione: l’acqua grezza viene trattata negli impianti di potabilizzazione per poter essere resa idonea al consumo umano. Con la filtrazione si rimuovono le impurità solide, la clorazione elimina i patogeni e infine i controlli chimici e microbiologici garantiscono il rispetto delle normative di qualità.

Ecco che inizia la distribuzione. Per immagazzinare e regolare il flusso vengono utilizzati grandi serbatoi e attraverso delle tubazioni, spesso molto complesse, con sensori per monitorare pressione e perdite, l’acqua potabile viene convogliata ad abitazioni, aziende e altre strutture.

L’ACQUA DOPO IL RUBINETTO

Cosa succede invece dopo i nostri innumerevoli usi? Le acque reflue, cioè non più idonee a un utilizzo diretto, vengono raccolte da una rete di fognature che le divide in acque nere, per acque domestiche sanitarie provenienti dagli scarichi dei WC o dalle cucine – se contaminata da residui alimentari significativi –, acque grigie provenienti da docce, lavandini, lavatrici e lavastoviglie e bianche per le acque meteoriche, ossia pioggia, neve sciolta e acque superficiali.

Gli impianti di depurazione rimuovono tutti gli inquinanti prima della re-immissione nell’ambiente attraverso tre fasi: quella primaria, in cui si rimuovono solidi e materiali grossolani; la secondaria, in cui vengono eliminate le sostanze organiche con trattamenti biologici; infine la terziaria, in cui si prevede un ultimo affinamento per garantire il rispetto degli standard ambientali. Dopo il trattamento, l’acqua depurata viene restituita all’ambiente, quindi a fiumi, mari e laghi.

Si stanno diffondendo in tutta Italia percorsi di educazione ambientale con laboratori didattici per le scuole dedicati al ciclo dell’acqua.

IL SISTEMA IDRICO DIVENTA INTEGRATO: LA SVOLTA DELLA LEGGE GALLI

Storicamente il servizio idrico in Italia veniva gestito da una molteplicità di enti locali – Comuni, consorzi e aziende municipalizzate – con modalità spesso disomogenee e inefficienti; in più la carenza di risorse economiche impediva lo sviluppo e il mantenimento delle infrastrutture, senza contare che la qualità delle risorse idriche e delle acque reflue trattate risultava scarsa, con un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute pubblica.

Per superare questa frammentazione gestionale, nel 1994 venne introdotta la legge Galli (L. 36/1994) che stabiliva che la gestione di tutto il ciclo idrico sarebbe dovuta diventare unica e integrata – dalla captazione, adduzione e distribuzione di acqua per usi civili fino alla depurazione delle acque reflue – e affidata a un solo soggetto in ogni Ambito Territoriale Ottimale, detto ATO. Una svolta storica per l’organizzazione moderna del servizio idrico in Italia.

Il gestore unico quindi ha il compito di garantire un servizio uniforme. A regolamentarlo il Decreto Legislativo 152/2006 – conosciuto anche come Testo Unico Ambientale – che ha riordinato le norme in materia idrica. L’intero sistema viene poi supervisionato dall’ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente, che definisce le regole e i criteri tariffari e vigila anche sulla qualità del servizio.

Come cittadini siamo portati a vedere il servizio idrico come “l’acqua che arriva nelle nostre case”: siamo molto meno consapevoli di cosa avviene prima e dopo

LE COMPLESSITÀ DEL SISTEMA IDRICO INTEGRATO

In Italia il sistema idrico integrato affronta oggi numerose complessità che derivano da questioni tecniche, gestionali, ambientali ed economiche. «Prelevare l’acqua dall’ambiente e trattarla per destinarla al consumo umano, quindi raccogliere quella sporca che esce dalle nostre città per riportarla nelle condizioni idonee per la reimmissione nell’ambiente, è un lavoro fatto di reti, impianti, reagenti, filtrazioni, energia, competenze tecniche e industriali, ossia la differenza che passa tra l’acquedotto ai tempi dell’antica Roma e un moderno impianto di depurazione in grado di restituire acqua riutilizzabile in agricoltura», ha sottolineato Berardi.

Non solo dispersioni e perdite quindi, ma anche controlli per garantire la sicurezza dell’acqua: sul tavolo ci sono gli impegni delle direttive europee per estendere le reti fognarie e la depurazione anche ai centri abitati minori, i trattamenti più avanzati necessari nei centri di maggiori dimensioni per rimuovere microplastiche, farmaci e altri inquinanti dagli scarichi e proteggere l’ambiente e ancora gli interventi necessari a evitare che le città si allaghino per l’aumentata intensità delle piogge, gli sforzi per ridurre le emissioni di anidride carbonica per i grandi consumi di energia necessari a potabilizzare, sollevare, depurare, sino alle nuove dighe e invasi per accumulare l’acqua nelle stagioni in cui è abbondante e conservarla per quando è scarsa.

«E poi c’è anche il grande tema del dissesto idrogeologico: basta vedere cosa è nuovamente accaduto nella nostra Romagna, colpita dalle alluvioni per la terza volta in un anno e mezzo. Tutto questo è il lavoro del gestore del servizio idrico nel XXI secolo», sottolinea Donato Berardi.

Sistema idrico integrato. Foto tratta da Pixabay

C’è poi un altro aspetto da analizzare parlando di acque reflue, cioè quello degli inquinanti: esse infatti ne contengono parecchi, alcuni dei quali particolarmente difficili da eliminare. Qualche esempio? I metalli pesanti come piombo, mercurio, cadmio, cromo e arsenico non essendo biodegradabili tendono ad accumularsi nell’ambiente e negli organismi viventi. Microplastiche derivanti dal lavaggio di capi realizzati in fibre sintetiche oppure frammenti di plastica contenuti in cosmetici come glitter, dentifrici con microgranuli e scrub esfolianti avendo dimensioni microscopiche, sfuggono ai sistemi di depurazione convenzionali come la filtrazione meccanica.

Ci sono poi i farmaci – per esempio antibiotici e ormoni – e alcuni prodotti per la cura personale – il triclosan contenuto nei prodotti per la cura per la parodontite ad esempio o i filtri UV – che richiedono tecniche avanzate di trattamento come l’osmosi inversa, l’ozonizzazione o la nanofiltrazione. Oli minerali, vegetali e grassi animali tendono a formare uno strato superficiale che impedisce l’ossigenazione e richiedono separatori specifici o processi di emulsionamento.

E ancora, sostanze come azoto – nitrati, ammoniaca – e fosforo – fosfati – provocano l’eutrofizzazione delle acque, ossia l’aumento di sostanze nutrienti che favorisce la crescita di alghe e di conseguenza la carenza di ossigeno che può portare stati di sofferenza negli organismi che vivono in stretta relazione con il sedimento e causare morie di pesci.

E qui si apre un nuovo scenario, quello del recupero dei fosfati dalle acque scure – le acque reflue contenenti materiali organici e feci –: pare infatti che questa sia una delle strategie più promettenti per far fronte alla scarsità di fosfati – una risorsa non rinnovabile – a cui stiamo andando incontro. Le riserve globali di fosfato minerale sono limitate e si prevede che nei prossimi decenni la domanda supererà l’offerta. Recuperare in modo sistematico queste sostanze quindi non solo riduce l’eutrofizzazione, ma diminuisce anche la dipendenza dalle riserve minerarie e valorizza un rifiuto potenzialmente inquinante, convertendolo in un una importante risorsa.

Uno dei famosi “nasoni” di Roma visto dall’alto. Foto di Antonio L’Amante pubblicata sul gruppo Facebook Roma Urbs Aeterna

IL SISTEMA IDRICO INTEGRATO IN ITALIA: I CASI STUDIO

Grandi città come Roma e Torino hanno sistemi complessi che gestiscono milioni di metri cubi d’acqua al giorno. Roma, gestita da Acea, si avvale di acquedotti storici – Anio Novus, Acqua Marcia – combinati con tecnologie moderne. Fra storia, innovazione e sfide contemporanee, Roma rappresenta un esempio di come gestire un sistema idrico complesso in contesto urbano, soprattutto perché si tratta della città più grande d’Italia, il che richiede un sistema idrico capillare.

Quello attuale infatti sa integrare gli elementi storici, dimostrando come una città possa coniugare il patrimonio culturale con le esigenze di oggi. Alcuni degli antichi acquedotti romani sono ancora in uso e altri hanno influenzato le infrastrutture odierne: sifoni invertiti, archi e condotte in piombo hanno ispirato i sistemi idrici successivi. Come non citare i nasoni” di Roma, le iconiche fontanelle della città la cui origine risale al 1874, quando il sindaco Luigi Pianciani decise di installarle per uso pubblico. Realizzate in ghisa, incentivano il consumo di acqua potabile, contribuendo a ridurre l’uso di bottiglie di plastica, e continuano a garantire a tutti il diritto di accesso all’acqua.

Torino invece è una città che parte avvantaggiata perché ha un’acqua di ottima qualità grazie alla vicinanza alle Alpi e alle risorse idriche. Promuove e incentiva l’utilizzo dell’acqua plastic free attraverso i numerosi punti acqua perfettamente inseriti nelle aree urbane. In tema di efficienza del sistema, SMAT investe in innovazione tecnologica anche per ottimizzare la sostenibilità dei processi. Un esempio è il telecontrollo in tempo reale della rete idrica per individuare e riparare in breve tempo eventuali perdite.

Sono poi considerati all’avanguardia i sistemi di trattamento delle acque reflue, tra i più grandi e tecnologicamente più avanzati in Europa, perché vengono impiegate tecnologie di depurazione biologica e processi di recupero energetico. SMAT gestisce anche un importante centro di ricerca che collabora con università e istituti internazionali proprio per innovare il settore idrico.

Acquedotto romano. Foto tratta da Pixabay

LE SFIDE DI OGGI

Oggi le sfide del sistema idrico integrato in Italia sono molteplici e riflettono la diversità geografica, economica e sociale del Paese. Eventi climatici estremi, lunghi periodi di siccità e inondazioni improvvise, difficoltà nell’adozione di strategie integrate a livello nazionale, oltre a perdite significative che mettono in luce la necessità di investire in nuove infrastrutture, in manutenzione e in tecnologie avanzate rendono chiaro quanto occorra un approccio coordinato che coinvolga governi, enti locali, settore privato e cittadini.

Ma c’è di più. «Se si prende la mappa dell’Italia delle procedure di infrazione nella depurazione e la si mette a confronto con quella delle ordinanze di non potabilità dell’acqua le si troveranno molto simili. Prendendo poi quella che fotografa le gestioni dirette da parte dei Comuni e quelle cessate che continuano a operare non avendo titolo ci si renderà conto che sono la stessa cosa», ha commentato Berardi.

Qual è il motivo? «I cittadini pagano il prezzo delle resistenze di certa politica locale verso una gestione industriale dell’acqua». Alcuni enti locali preferiscono mantenere il controllo diretto sulla gestione dell’acqua, per motivi che includono pressioni politiche, interessi economici locali o una visione dell’acqua come bene comune che non dovrebbe essere soggetto a logiche di mercato. Alcuni temono che la gestione industriale, soprattutto se affidata a soggetti privati, possa portare a un aumento incontrollato delle tariffe e a una perdita del controllo pubblico su una risorsa fondamentale come l’acqua.

«Le gestioni dirette dei Comuni investono meno di 10 euro all’anno pro capite nel servizio idrico, le gestioni industriali organizzate in bacini territoriali ottimali ne investono più di 70». Se da un lato la resistenza a un approccio più industriale del servizio idrico integrato ha contribuito a perpetuare inefficienze che gravano sui cittadini sia in termini economici che di qualità del servizio, dall’altro essa deve essere equilibrata da un forte controllo pubblico per garantire che resti orientata al bene comune.

Per farlo, i cittadini e le istituzioni locali dovrebbero avere un ruolo attivo nel monitoraggio e nella governance, definendo tariffe che coprano i costi reali del servizio, ma che siano accessibili ai tutti, specialmente alle fasce più vulnerabili, puntando però sempre di più a una gestione unitaria, per superare la frammentazione attraverso una pianificazione integrata a livello regionale o nazionale.

Articolo scritto su

Emissioni odorigene in atmosfera da impianti di depurazione reflui

Screenshot
  1. Campo di applicazione
    La presente linea guida si applica agli impianti di depurazione reflui idrici che esercitano attività di
    depurazione di acque reflue domestiche, industriali e urbane (cfr. art. 74 c. 1 lettere g), h) e i) del D.Lgs. 152/06), ed agli impianti di depurazione di rifiuti liquidi riconducibili ai punti 5.1 e/o 5.3 dell’allegato I del D.Lgs. 59/05.
    Il presente documento è indirizzato ai soggetti istituzionali, ai soggetti gestori ed ai progettisti che operano in questo settore e fornisce indicazioni metodologiche e tecniche per la progettazione degli impianti di depurazione e la valutazione degli stessi nell’ambito dell’istruttoria per il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (ex D.Lgs. 59/05) e l’espressione di giudizio di compatibilità ambientale ai sensi del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. Inoltre ha lo scopo di offrire un contributo tecnico al fine di migliorare, incrementare e adeguare tali impianti agli standard europei, alle migliori tecnologie disponibili (BAT).
  2. La classificazione delle fasi di processo nel presente documento è stata realizzata al fine di tenere conto dell’impatto olfattivo relativo alle singole fasi e accorpando pertanto fasi tecnologicamente diverse purché caratterizzate da emissioni odorigene simili.
  1. Identificazione ed analisi delle fasi del processo
    3.1 Arrivo e sollevamento refluo urbano e scarico bottini o autobotti
    Le fasi di conferimento e prima movimentazione dei reflui all’impianto di trattamento costituiscono una possibile fonte di emissioni di odori soprattutto dove il refluo abbia una turbolenza che sia direttamente esposta all’atmosfera.
    Pertanto è necessario che queste operazioni avvengano in ambienti confinati. Ad esempio:
    · nel caso di scarico da autobotti devono essere evitati salti dal tubo di scarico al pelo libero del refluo
    oppure lo scarico deve avvenire in circuito chiuso;
    · nel sollevamento dagli arrivi dai condotti fognari le zone di discontinuità devono essere tutte
    compartimentate;
    · l’apertura e lo scarico dei bottini deve avvenire in un ambiente confinato e dotato di aspirazione e
    convogliamento dell’emissione in atmosfera

3.2 Pretrattamenti
Per pretrattamenti si intendono le operazioni quali:
· grigliatura;
· dissabbiatura;
· disoleatura;
· trattamenti chimico-fisici;
Tali operazioni possono costituire una sorgente significativa di odore nel caso in cui le superfici del pelo
libero del refluo esposte alla atmosfera siano rilevanti. Pertanto si dovrà valutare la necessità di un
confinamento ed eventuale convogliamento di tale zona sulla base della capacità di trattamento
dell’impianto. In particolare:
· per impianti con capacità di trattamento inferiore a 5’000 abitanti equivalenti i pretrattamenti potranno
essere condotti all’aperto;
· per impianti con capacità di trattamento compresa fra 5’000 ab.eq. e 15’000 ab.eq. l’opportunità di
confinamento dei pretrattamenti sarà valutata sulla base di una stima delle portate di odore emesse e
della distanza dei potenziali ricettori;
· per impianti con capacità di trattamento superiore a 15’000 ab.eq. i pretrattamenti dovranno essere
condotti in ambiente confinato e prevedendo il convogliamento e il trattamento delle emissioni.
3.3 Sedimentazione primaria
L’ambito di applicazione del presente paragrafo è esteso alle seguenti fasi, accomunate da problematiche
olfattive paragonabili:
· sedimentazione primaria;
· equalizzazione/omogeneizzazione.
Queste fasi costituiscono in generale un’importante fonte di emissioni di odore sia per l’elevata
concentrazione di odore associata all’aeriforme emesso dal refluo sia per l’elevata estensione delle superfici emissive.
La riduzione delle emissioni deve essere realizzata adottando i seguenti interventi impiantistici:
· le vasche devono essere chiuse prevedendo il convogliamento ed il trattamento delle emissioni;
· nel caso in cui la fase di equalizzazione/omogeneizzazione sia separata dalla fase di sedimentazione, è
necessario che nell’equalizzazione/omogeneizzazione il refluo sia movimentato/ossigenato per evitare
condizioni di anaerobiosi.
3.4 Ossidazione biologica
Mediante ossigenazione del refluo (con aria o ossigeno) gli agenti inquinanti in esso contenuto sono
convertiti in prodotti minerali e biomassa. Tale ossigenazione ha come conseguenza una movimentazione del liquido e una maggiore volatilizzazione di composti in atmosfera. Ciononostante, se l’ossigenazione è
condotta efficacemente su tutto il refluo, le emissioni gassose non presentano particolari problematicità dal punto di vista dell’odore. Pertanto, in generale, non sono necessari altri accorgimenti per il contenimento delle emissioni.
3.5 Nitrificazione
Valgono le stesse considerazioni espresse per l’ossidazione biologica.
3.6 Denitrificazione
Se la vasca di denitrificazione è a monte dell’ossidazione si deve valutare l’opportunità di chiudere la vasca e convogliare le emissioni di odore sulla base delle dimensioni dell’impianto e della distanza dei potenziali ricettori

Se invece la denitrificazione è a valle dell’ossidazione, il refluo ha un potenziale odorigeno minore e pertanto la fase non costituisce una criticità dal punto di vista odorigeno, purché i trattamenti a monte siano stati condotti in modo completo ed efficace.
3.7 Sedimentazione secondaria
In generale, sulle vasche di sedimentazione secondaria vengono riscontrati valori di concentrazione di odore relativamente bassi, in virtù dell’efficienza delle fasi di trattamento precedenti. Ciononostante, tale fase può rappresentare una criticità a causa delle elevate superfici ad essa connesse. Per tale motivo, l’opportunità di le vasche di sedimentazione secondaria deve essere valutata sulla base delle dimensioni
dell’impianto, della tipologia dei reflui in ingresso e della distanza dei potenziali ricettori.
3.8 Trattamenti finali
In generale, i trattamenti finali non costituiscono una criticità dal punto di vista odorigeno, purché i
trattamenti a monte siano stati condotti in modo completo ed efficace.
Nel caso specifico della clorazione si deve prestare attenzione che il dosaggio non sia tale da determinare
l’emissione di cloro in atmosfera.
3.9 Ispessimento fanghi
Nonostante le superfici dedicate all’ispessimento siano in genere ridotte rispetto a quelle dedicate al
trattamento dei reflui, i fanghi costituiscono per loro natura una fonte di odore problematica in termini sia di concentrazione di odore sia di tono edonico (gradevolezza/sgradevolezza).
Quindi, gli ispessitori devono essere chiusi, dotati di aspirazione e trattamento degli effluenti.
La movimentazione e lo stoccaggio dei fanghi provocano emissioni di odore rilevanti e deve pertanto essere eseguita in ambiente confinato. Qualora, per gli impianti esistenti, questo non fosse possibile si dovranno predisporre degli accorgimenti idonei alternativi, quali ad esempio:
· limitazione dello spazio fisico dedicato alla movimentazione;
· sistemi di nebulizzazione di prodotti deodorizzanti.
3.10 Trattamenti meccanici dei fanghi
Come già osservato, i fanghi costituiscono per loro natura una criticità dal punto di vista olfattivo. Pertanto le apparecchiature di trattamento meccanico per la disidratazione dei fanghi devono essere installate in ambiente chiuso, con convogliamento e trattamento degli effluenti.
La movimentazione e lo stoccaggio dei fanghi provocano emissioni di odore rilevanti e deve pertanto essere eseguita in ambiente confinato. Qualora, per gli impianti esistenti, questo non fosse possibile si dovranno predisporre degli accorgimenti idonei alternativi, quali ad esempio:
· limitazione dello spazio fisico dedicato alla movimentazione;
· sistemi di nebulizzazione di prodotti deodorizzanti.
3.11 Trattamenti termici dei fanghi
L’effluente aeriforme delle apparecchiature di trattamento termico dei fanghi (ad esempio: essiccazione)
deve essere trattato prima dell’espulsione in atmosfera.
La movimentazione e lo stoccaggio dei fanghi provocano emissioni di odore rilevanti e deve pertanto essere eseguita in ambiente confinato. Qualora, per gli impianti esistenti, questo non fosse possibile si dovranno predisporre degli accorgimenti idonei alternativi, quali ad esempio:
· limitazione dello spazio fisico dedicato alla movimentazione;
· sistemi di nebulizzazione di prodotti deodorizzanti.
3.12 Digestione anaerobica
Gli impianti di digestione anaerobica (includendo nella definizione di impianto sia la digestione vera e
propria che la combustione/trattamento del biogas) devono essere realizzati in modo da impedire emissioni diffuse ed evitare le emissioni fuggitive attraverso un piano di controllo di queste ultime.
L’impianto dovrà essere dotato di una torcia conforme ai requisiti del D.G.R. Lombardia 19 ottobre 2001, n. 7/6501, da utilizzarsi in caso di disservizio dell’impianto di recupero energetico.

  1. Modalità di convogliamento e trattamento degli effluenti
    I sistemi di confinamento degli ambienti devono essere realizzati in maniera da non avere emissioni diffuse.
    I sistemi di convogliamento degli effluenti gassosi devono essere realizzati in coerenza con l’eventuale sistema di abbattimento a valle.
    I sistemi di trattamento degli effluenti gassosi devono avere caratteristiche tecniche minimali compatibili da quanto stabilito dalla D.G.R. del 1 agosto 2003 n. 13943 e smi.
    Di seguito si riportano alcune considerazioni di base in merito all’utilizzo delle varie tipologie di sistemi che possono essere utilizzati, in relazione alla loro efficacia di abbattimento degli odori.
    · Scheda BF.01 – Biofiltro a tecnologia convenzionale;
    · Scheda BF.02 – Biofiltro a tecnologia combinata;
    L’utilizzo di un trattamento di biofiltrazione può condurre una riduzione del contenuto di sostanze
    odorigene provenienti dai processi; per l’efficacia del trattamento è necessario che l’umidità e la
    temperatura del flusso dell’aria si mantengano in un determinato intervallo; per cui si ritiene necessario un preventivo trattamento ad umido (scrubber). E’ indicato per il trattamento di correnti gassose diluite.
    · Scheda AC.RI.01 – Abbattitore a Carboni Attivi a rigenerazione interna;
    · Scheda AC.RE.01 – Abbattitore a Carboni Attivi a rigenerazione esterna;
    Queste tipologie di impianti mal si adattano ad abbattere gli odori in quanto l’effluente gassoso è molto umido e quindi il carbone deve essere rigenerato frequentemente.
    · Scheda PC.T.01 – Combustore termico recuperativo;
    · Scheda PC.T.02 – Combustore termico rigenerativo;
    · Scheda PC.C.01 – Combustore catalitico;
    Queste tipologie di impianti permettono di abbattere efficacemente effluenti con un grande carico
    odorigeno, ne è sconsigliato l’utilizzo in flussi diluiti in quanto costituiscono un cospicuo onere
    economico sia per l’installazione sia la gestione poiché richiedono il consumo di grandi quantità di
    combustibile.
    · AU – Abbattitori a umido
    È un sistema di trattamento molto utilizzato per l’abbattimento degli odori. Per garantire una buona
    efficienza è necessario prevedere più stadi in serie con diversi fluidi abbattenti. Per l’ossidazione è da
    preferire l’acqua ossigenata all’ipoclorito, in quanto quest’ultimo dà luogo a reazioni “secondarie” con la formazione di composti odorigeni che diminuiscono l’efficienza d’abbattimento. É indicato per il trattamento di correnti gassose diluite.
  2. Valutazione opportunità di chiudere le vasche e convogliare e trattare gli effluenti
    Un valore di portata di odore che può essere preso come riferimento indicativo al fine di valutare
    l’opportunità di chiudere le vasche, prevedendo il convogliamento e il trattamento degli effluenti provenienti da ciascuna delle fasi caratteristiche degli impianti di depurazione reflui è 10’000 ouE/s.
    Nel caso specifico, il limite di 10’000 ouE/s si riferisce alle sorgenti areali passive e ad una velocità dell’aria sotto cappa pari a 0,3 m/s. (cfr. Allegato 2).
    Al fine di questa valutazione devono essere trascurate le emissioni aventi valori di concentrazioni di odore al di sotto di 80 ouE/m3.
  3. Valori di concentrazione di odore e fattori di emissione caratteristici degli impianti di depurazione reflui
    La Tabella 2 riporta i valori medi e i range di concentrazione di odore caratteristici per ciascuna delle fasi considerate. Nell’ultima colonna di Tabella 2 sono riportati i fattori di emissione dell’odore (OEF – Odour Emission Factor) calcolati per ciascuna fase ed espressi in unità odorimetriche per metro cubo di refluo trattato (ouE/(m3 di refluo)).

I fattori di emissione dell’odore rappresentano un metodo semplice per stimare le emissioni di odore di un
impianto sulla base di un indice di attività, che deve essere rappresentativo della tipologia di impianto
considerato e associato alla quantità di odore emessa. Nel caso specifico degli impianti di depurazione reflui si è deciso di utilizzare la capacità di trattamento degli impianti, espressa in metri cubi di refluo trattato all’anno (m3/y). L’appropriatezza di questa scelta è dimostrata da evidenze sperimentali che confermano l’esistenza di una correlazione fra quantità di refluo trattato e quantità di odore emessa.
E’ importante sottolineare che tutti i valori di concentrazione di odore e di OEF presentati in questa sezione sono ottenuti considerando una velocità dell’aria sotto cappa pari a 0,3 m/s (cfr. Allegato 1).
L’OER relativo ad un impianto di trattamento reflui può essere ottenuto come prodotto fra la capacità di
trattamento dell’impianto e la somma degli OEF relativi a ciascuna delle fasi presenti nell’impianto
considerato. Se qualcuna delle fasi è condotta al chiuso con un sistema di convogliamento e trattamento degli effluenti, l’OER effettivo deve essere calcolato considerando l’efficienza del sistema di abbattimento
adottato.

SCRUBBERS – PROMO TECNICA RC

EVOLUZIONE DEL PE100 OGGI PE100 – RC

Ripreso da un articolo di IIP del 04 ottobre 2024

Oggetto: Requisiti dei materiali PE 100-RC nell’ambito della norma UNI EN 1555:2021

Cenni storici: Il primo impiego del polietilene (PE) nella fabbricazione di tubazioni utilizzate per la distribuzione del gas risale agli anni ’60. Da allora l’evoluzione tecnologica ha portato ad un notevole e continuo miglioramento sia della resistenza alla corrosione (che era la caratteristica inizialmente identitaria e più importante) che delle altre principali proprietà del materiale quali, ad esempio, la resistenza alla pressione ed alla propagazione della frattura fino alla produzione del PE 100.Negli ultimi anni è però emersa la necessità di un ulteriore step di sviluppo per la risoluzione di problematiche associate alla fase di posa, qualora la stessa non fosse eseguita a regola d’arte.

PE 100 “vs” PE 100-RC (Resistant to Crack):

Il PE 100-RC mantiene tutte le proprietà meccaniche del PE 100 ma ne rappresenta la sua naturale evoluzione, proprio grazie ad una migliore resistenza alla propagazione lenta delle cricche che possono generarsi durante la fase di installazione e posa in opera a causa, ad esempio, di graffi e/o incisioni.
I prodotti in PE 100-RC utilizzati per i sistemi di trasporto del gas richiedono pertanto prove aggiuntive e specifiche rispetto a quelle già previste per il PE 100 in accordo alla serie di norme UNI EN 1555:2021.
Nella tabella seguente sono riportate le quattro prove aggiuntive per il PE 100-RC (con i relativi requisiti).
Le prove NPT (Notch Pipe Test) e FNCT (Full Notch Creep Test) possono essere eseguite in condizioni accelerate.
La riga relativa al PE 100 è stata riportata al fine di dare evidenza dell’incremento ottenuto con lo sviluppo del nuovo materiale (RC); le prove in questione non sono infatti richieste per il polietilene tradizionale.

Metodi di analisi specifici per la valutazione del PE 100-RC:

  • UNI EN ISO 13479:2022 “Metodo di prova per la propagazione lenta della fessura di tubi con intagli”
    Si applica a:
    • Materia prima (estrusa in forma di tubo)
    • Prodotto finito: tubi
  • È possibile eseguire il test A-NPT immergendo i campioni in una soluzione di acqua miscelata con un apposito tensioattivo in modo tale da accelerare il processo di fessurazione. Questa prova permette di determinare la resistenza alla propagazione lenta di una fessura espressa in funzione del tempo di rottura, attraverso l’applicazione di una pressione idrostatica all’interno di un tubo intagliato longitudinalmente sulla sua superficie esterna tramite lavorazione meccanica. La prova è applicabile a tubi con spessore di parete maggiore di 5 mm.
  • ISO 16770:2019 “Determination of environmental stress cracking (ESC) of polyethylene – Full-notch creep test” Si applica a:
  • Materia prima
  • possibile eseguire il test A-FNCT immergendo i campioni in una soluzione di acqua miscelata con un apposito tensioattivo in modo tale da accelerare il processo di fessurazione. Questa prova permette di determinare la resistenza alla fessurazione da stress ambientale espressa in funzione del tempo di rottura misurato (prova non accelerata) o interpolato ad un determinato valore di stress con, ad esempio, curva logaritmica (prova accelerata). Il test è eseguito applicando uno (prova non accelerata) o più (prova accelerata) carichi statici a trazione su provini di sezione quadrata con intagli complanari su tutte le facce al centro dei provini stessi che si trovano immersi in una soluzione di acqua miscelata ad un apposito tensioattivo.
  • ISO 18488:2015 “Determination of Strain Hardening Modulus in relation to slow crack growth”
  • Si applica a:
  • Materia prima
  • Prodotti finiti: tubi, raccordi, valvole
  • Questa prova permette di determinare la resistenza alla propagazione lenta di una fessura attraverso la determinazione del modulo di indurimento da deformazione: più è alto, maggiore sarà la durata del materiale senza subire danni significativi anche in presenza di sollecitazioni esterne prolungate. I provini (di spessore pari a 0,3 mm) sono ricavati da fogli stampati a compressione e successivamente sottoposti ad un test di trazione all’interno di una camera termostatica settata ad una temperatura di 80°C ottenendo per ciascuno di loro una curva sforzo-deformazione.
  • ISO 18489:2015 “Determination of resistance to slow crack growth under cyclic loading – Cracked Round Bar”
  • Si applica a:
  • Materia prima
  • Prodotto finito: tubi
  • Questa prova permette di determinare la resistenza alla propagazione lenta di una fessura espressa in funzione del numero di cicli (misurato o interpolato con curva log-log) ai quali avviene la rottura dei campioni in prova. I provini di forma cilindrica e intagliati sull’intera circonferenza al loro centro sono sottoposti ad un test di trazione ciclico (frequenza 10 Hz) con un range di carico costante. La geometria dei campioni è tale da assicurare un rapido inizio della frattura al fine di ridurre il tempo necessario alla rottura.

I vantaggi dell’utilizzatore finale di un manufatto in PE 100-RC:

Il metodo di installazione convenzionale per i sistemi di tubazioni in PE 100 è spesso la posa in trincea aperta con un letto di sabbia vagliata intorno al tubo.
Altre tecniche di installazione non convenzionali che utilizzano macchinari specializzati e tecniche “No-Dig” (senza scavo) risultano essere più economiche ma possono aumentare il rischio di graffi e danni al tubo durante la posa in opera.


L’utilizzo del materiale PE100-RC, grazie alla minore sensibilità all’intaglio ed alla ridotta velocità di propagazione delle fessure, aumenta la sicurezza, l’affidabilità e la durata del sistema di tubazioni, ed è quindi utilizzato soprattutto per:
a) l’installazione senza l’incorporazione di sabbia e il riutilizzo del terreno scavato in trincee aperte,
b) installazione con tecniche di installazione senza scavo,
c) ripristino di sistemi di tubazioni usando metodi di ristrutturazione.


Il ruolo di IIP nel processo di verifica e certificazione del PE 100-RC:
IIP Srl è un ente accreditato e riconosciuto a livello nazionale e internazionale per la certificazione e valutazione della conformità di prodotti plastici. Le certificazioni rilasciate da IIP Srl sono riconosciute non solo in Italia, ma anche negli altri paesi, garantendo così l’accettazione dei manufatti in PE100-RC in vari mercati.
IIP Srl ha un ruolo chiave nel fornire una garanzia di qualità e sicurezza attraverso:
• test rigorosi che includono prove idrauliche, fisiche, meccaniche e quelle specifiche per il PE 100-RC (A-NPT, A-FNCT, SHT e CRB), che verificano la qualità del materiale in termini di resistenza e durata a lungo termine.
• controlli costanti poiché, oltre alle prove di laboratorio, IIP effettua verifiche periodiche sui processi produttivi dei fabbricanti per garantire che i manufatti in PE100-RC continuino a soddisfare i requisiti di qualità. Gli audit valutano non solo i prodotti finiti, ma anche i sistemi di produzione e controllo, assicurando che le metodiche di fabbricazione e controllo qualità siano conformi ai requisiti stabiliti dalle norme UNI EN 1555 e UNI ISO 4437.

Consorzio Nazionale PolieCo

Visto che molte persone nel nostro settore . io compreso, non hanno molto chiaro in cosa consiste “CONSORZIO NAZIONALE POLIECO” ho pensato di fare un Articolo ripreso dal loro Sito che ci possa dare qualche spiegazione, lasciando poi l’approfondimento nel loro “Sito Ufficiale Consorzio Polieco”

Sicuramente importante per chi Acquista e per chi Vende essere in regola

Consorzio

PolieCo è il Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene, chiamato a non avere scopo di lucro ed è retto dallo statuto di cui al d.m. 23 Maggio 2019 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 11 Luglio 2019); per legge ed in particolare ai sensi e per gli effetti dell’articolo 234 del d. lgs. 152/2006, con riferimento ai beni a base di polietilene, sono obbligati ad aderire al Consorzio, al fine di adempiere alle loro obbligazioni ambientali, i produttori e gli importatori, gli utilizzatori ed i distributori, i riciclatori ed i recuperatori di rifiuti, oltre i soggetti che intendano essere coinvolti nella gestione dei rifiuti stessi di beni a base di polietilene; allorquando saranno poi resi dal Legislatore attuabili i sistemi di cui al comma 7 dell’articolo 234 del d. lgs. 152/2006 – gli stessi soggetti alternativamente potranno farsene carico, fermo restando nel frattempo l’obbligo di partecipazione al Consorzio stesso.

La missione

Il Consorzio mira a favorire il ritiro dei beni a base di polietilene al termine del loro ciclo di vita, onde avviarli alle attività di riciclo e di recupero, concretizzando, nel contempo, una riduzione della quantità di rifiuti smaltiti in discarica e un minor consumo di materia prima (con tutto quello che ne consegue in termini di risparmio energetico e minori emissioni da mancata produzione industriale). A tal fine, PolieCo:

  • promuove la valorizzazione delle frazioni di polietilene non riutilizzabili;
  • promuove l’informazione degli utenti, intesa a ridurre il consumo dei materiali ed a favorire forme corrette di raccolta e di smaltimento; 
  • assicura l’eliminazione dei rifiuti dei beni a base di polietilene non caso in cui non sia possibile o economicamente conveniente il riciclo nel pieno rispetto delle normative a favore del rispetto dell’ambiente;
  • promuove la gestione del flusso dei beni a base di polietilene;
  • assicura la raccolta, il riciclo e le altre forme di recupero dei rifiuti dei beni a base di polietilene

L’iscrizione al Consorzio

Il numero dei consorziati è illimitato e la quota di partecipazione al Consorzio di ciascuno di essi è definita in base alle quantità di materiale gestite e dichiarate nell’anno. Vengono determinate diverse categorie e, per ciascuna di esse, sono definiti criteri  differenti per la determinazione delle quote di partecipazione.

L’adesione al Consorzio viene perfezionata attraverso la presentazione della domanda di adesione e i consorziati sono tenuti a comunicare con cadenza semestrale o annuale la dichiarazione periodica.

Le Categorie

La seguente tabella riporta le categorie attualmente in vigore in cui sono suddivisi i consorziati. Per ciascuna categoria è indicata la data di scadenza della dichiarazione periodica.

Cat.DescrizioneScadenza dichiarazione
periodica
AProduttori e i importatori di beni in polietileneGennaio/Giugno – (entro il 15 Luglio)
Luglio/Dicembre – (entro il 15 Gennaio)
BUtilizzatori ed i distributori di beni in polietileneGennaio/Dicembre (entro il 15 Gennaio
C
riciclatori ed i recuperatori dei rifiuti di beni in polietilene
Gennaio/Dicembre (entro il 15 Gennaio
Dproduttori e gli importatori di materie prime in polietilene per la produzione di beni in polietileneGennaio/Dicembre (entro il 15 Gennaio
Esoggetti che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio dei beni e dei rifiuti in polietileneGennaio/Dicembre (entro il 15 Gennaio

Attività

Nato con lo scopo di “razionalizzare, organizzare e gestire la raccolta ed il trattamento dei rifiuti dei beni a base di polietilene (art. 234 D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152), affinché siano raggiunti gli obiettivi di recupero e riciclaggio degli stessi rifiuti di beni a base di polietilene” (comma 1, art. 3 dello Statuto), PolieCo opera sul territorio nazionale promuovendo una attività istituzionale che spazia dalla promozione della gestione dei flussi, all’attività di intermediazione, dal monitoraggio alla formazione, sino alla fornitura di servizi ai consorziati.

Di seguito un’estratto dello statuto  (Art.3) con un dettaglio delle attività svolte:

Art. 3. Oggetto e finalità.
1. Nello svolgimento della sua attività, il Consorzio si conforma alle norme e ai principi di cui ai Titoli I, II e III, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, ed in particolare a quelli contenuti nell’art. 237, nonché ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità.

2. Per il raggiungimento delle finalità di cui al secondo comma dell’art. 1 del presente Statuto, ed in particolare dell’obiettivo primario di favorire il ritiro dei beni a base di polietilene al termine del ciclo di utilità per avviarli ad attività di riciclaggio e di recupero, il Consorzio svolge i seguenti compiti:

  1. promuove la gestione del flusso dei beni a base di polietilene;
  2. assicura la raccolta, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti di beni in polietilene anche tramite l’attività di intermediazione e commercio senza detenzione di beni a base di polietilene, fornendo anche assistenza nella creazione di circuiti ed impianti di riciclaggio e di recupero;
  3. promuove la valorizzazione delle frazioni di polietilene non riutilizzabili;
  4. promuove l’informazione e la formazione degli utenti, intesa a ridurre il consumo dei materiali ed a favorire forme corrette di gestione di beni a base di polietilene, che riguarda, tra l’altro, i sistemi di restituzione, di raccolta e di recupero disponibili ed il ruolo degli utenti nel processo di riutilizzazione, di riciclaggio e di recupero;
  5. assicura l’eliminazione dei rifiuti di beni in polietilene nel caso in cui non sia possibile o economicamente conveniente il riciclaggio, fatto comunque salvo il rispetto degli obiettivi minimi di riciclaggio di cui all’art. 1, comma 2, del presente Statuto nonché nel rispetto delle disposizioni contro l’inquinamento;
  6. assicura la gestione dei rifiuti dei beni a base di polietilene provenienti dalla raccolta differenziata comunque effettuata;
  7. promuove accordi tra imprese e società interessate nonché con altri soggetti ed enti anche effettuanti attività di raccolta differenziata;
  8. promuove il coordinamento con la gestione di altre tipologie di rifiuto, nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 anche con riferimento agli ambiti applicativi di cui all’art. 212, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
  9. assicura, in applicazione dell’art. 234, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che le deliberazioni degli organi del Consorzio, adottate in relazione alle finalità dell’intera Parte Quarta dello stesso decreto legislativo ed a norma del presente Statuto, siano vincolanti per tutti i soggetti partecipanti; conseguentemente il Consorzio accerta il corretto adempimento degli obblighi e delle obbligazioni nascenti dalla partecipazione al Consorzio stesso ed intraprende, anche in collaborazione con le competenti Autorità, le azioni necessarie per accertare e reprimere eventuali violazioni integrate dai consorziati o dai soggetti tenuti a consorziarsi e relative agli obblighi ad essi derivanti dall’obbligo di partecipazione al Consorzio.

3. Per garantire lo svolgimento delle attività di cui al comma 2, il Consorzio affida gli incarichi di raccolta, trasporto e recupero ad imprese autorizzate ai sensi della vigente normativa, nel rispetto dei criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza parità di trattamento e libera concorrenza nell’attività di settore. Gli incarichi di cui sopra sono affidati con le modalità ed in base ai requisiti individuati ed approvati dal consiglio di amministrazione. II rapporto tra il Consorzio e le imprese incaricate dello svolgimento delle attività di gestione è regolato mediante una o più convenzioni.

4. Al fine di migliorare la razionalizzazione ed organizzazione delle proprie funzioni, di ottimizzare le modalità di gestione adottate e conformarle alle regole di concorrenza, nonché al fine di favorire il mercato dei prodotti e materiali recuperati, il Consorzio può svolgere tutte le attività complementari, sussidiarie, coordinate e comunque strettamente connesse con lo scopo consortile di cui all’art. 1, comma 2, del presente Statuto. In particolare, il Consorzio può:

  1. compiere tutte le operazioni di natura mobiliare, immobiliare e finanziaria ritenute necessarie od utili alla realizzazione degli scopi consortili, purché comunque direttamente o indirettamente connesse agli scopi consortili;
  2. adottare iniziative di ogni genere atte a favorire l’informazione e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema del consumo dei beni a base di polietilene, al fine di promuovere la riduzione del consumo dei materiali e l’introduzione di buone pratiche di gestione;
  3. stipulare accordi con soggetti pubblici e privati ai fini del perseguimento delle finalità consortili, in conformità con quanto previsto al corrente comma del presente articolo;
  4. promuovere accordi tra le aziende produttrici, utilizzatrici e distributrici con altri soggetti pubblici e privati anche effettuanti attività di raccolta differenziata;
  5. promuovere sinergie e accordi di vario genere con soggetti che svolgono attività similari;
  6. stipulare accordi con i sistemi di gestione alternativi costituiti ai sensi dell’art. 234, comma 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
  7. prevedere ed organizzare forme di deposito cauzionale nella distribuzione dei prodotti dei consorziati, ai sensi dell’art. 234, comma 9, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
  8. rappresentare le imprese consorziate presso le autorità locali, nazionali, europee ed internazionali;
  9. fornire assistenza nella creazione di circuiti di impianti di riciclaggio e recupero, nonché promuovere e partecipare alla progettazione degli impianti.

5. Per lo svolgimento delle sue funzioni, il Consorzio può stipulare, anche ai sensi dell’art. 206 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, specifici accordi, contratti di programma, protocolli d’intesa, anche sperimentali, con:

  1. il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dello sviluppo economico cosiccome il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e il Ministero della salute;
  2. regioni, province, città metropolitane, comuni e loro consorzi, comunità montane, autorità d’ambito, aziende municipalizzate, concessionari di pubblico servizio, enti e soggetti pubblici e privati;
  3. consorzi, società, enti ed istituti di ricerca incaricati dello svolgimento di attività a contenuto tecnico, tecnologico o finanziario, comprese tra i fini istituzionali;
  4. i soggetti di cui all’art. 234, comma 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

6. Nell’esercizio delle proprie funzioni, il Consorzio può agire attraverso soggetti terzi sulla base di apposite convenzioni, oppure avvalersi della collaborazione di associazioni rappresentative dei settori imprenditoriali di riferimento dei consorziati.

7. Per conseguire le proprie finalità istituzionali, il Consorzio può costituire nuovi soggetti di diritto privato e/o assumere partecipazioni in società già esistenti, previa autorizzazione del Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico. La costituzione di nuovi soggetti giuridici e l’assunzione di partecipazioni in società non è consentita se determina la sostanziale modifica dell’oggetto consortile e delle finalità come definite dal presente Statuto. L’attività dei soggetti giuridici partecipati e/o costituiti dal Consorzio deve sempre svolgersi nel rispetto delle norme e dei principi in materia di concorrenza; eventuali proventi e utili derivanti da tali partecipazioni devono essere utilizzati esclusivamente per le finalità previste dal presente Statuto.

8. Nel perseguimento delle attività istituzionali, il Consorzio si astiene da qualunque atto, attività o iniziativa suscettibile di impedire, restringere o falsare la concorrenza in ambito nazionale ed europeo, con particolare riferimento allo svolgimento di attività economiche e di operazioni di gestione dei rifiuti di beni in polietilene regolarmente autorizzate ai sensi della vigente normativa. In particolare, il Consorzio ed i consorziati non ostacolano e non impediscono l’organizzazione di sistemi alternativi di gestione dei rifiuti di beni in polietilene, regolarmente autorizzati ai sensi dell”art. 234, comma 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

9. E’ fatta salva la possibilità per i soggetti di cui all’art. 234, comma 14, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, di conferire i rifiuti di beni in polietilene ad operatori di altro Stato membro della Unione europea in regola con le specifiche autorizzazioni previste dal Paese di appartenenza nonché con la normativa comunitaria e nazionale e dietro rilascio di dichiarazione attestante la destinazione al trattamento, riutilizzo o recupero dei rifiuti di beni in polietilene nello Stato membro di destinazione, nel rispetto delle norme vigenti.
 

Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo (Considerazioni)

La plastica riciclata è attorno a noi, molto più di quanto si possa pensare e per questo lo sforzo che viene fatto per il recupero di questo materiale è una cosa molto importante evitando che finisca gettata e inquini l’ambiente. In Italia grazie a diversi interventi dello Stato e di Istituti nati per grarantire il riuso del materiale si va sempre più affermando “Plastca Seconda Vita”

Io sono un fautore convinto di questa azione di recupero della Plastica ma nel settore in cui ho lavorato per anni e legato al “Ciclo Integrato dell’Acqua” mi pongo alcune semplici domande chiedendo chiarimenti a chi è più esperto di me per competenza ed esperienze :

Le tubazioni che vengono usate per Acquedotto, vi riporto una specifica di un Gestore Acquedotto ( ma simile a tanti altri gestori) che purtroppo usano poco materiale plastico e molta ghisa e acciaio. Perche?

“I tubi, nei diametri ed SDR previsti, devono essere prodotti con resine polietileniche di classe MRS
10,0 (σc=8,0 N/mm2) in conformità alle norme nazionali ed internazionali.
Nessun additivo potrà essere aggiunto alla resina dal fabbricante dei tubi all’atto della lavorazione,
oltre a quelli previsti dal produttore della resina stessa.
Tutti gli additivi che sono necessari per la realizzazione dei tubi, in particolare gli stabilizzanti contro i
raggi UV, devono essere già inglobati nei granuli (pre-masterizzazione).
Non può in alcun modo essere impiegato materiale di riciclo.( anche se la norma permette di usare una % di rigenerato della stessa materia prima del tubo prodotto – aggiunto da me)
Il fabbricante deve monitorare le proprietà della materia prima da impiegare nella produzione dei tubi
prima del suo utilizzo, in particolare deve controllare almeno le seguenti proprietà, con i metodi di
prova riportati nel prospetto 1 della norma UNI EN 12201-1″

Pertanto spero che nessuno si spinga a proporre questo tubo con “Plastca Seconda Vita” altrimenti avremo sempre tanta Ghisa e poco PE sui diametri importanti (a differenza di Paesi Stranieri)

La qualità del tubo e della sua materia prima per la durata delle infrastrutture crea meno tubazioni da riciclare

Per la possibilità di utilizzo del rigenerato va impiegato lo stesso prodotto della materia prima vergine usata per il Tubo creata dallo scarto di produzione, ma penso sia pochissima perchè con i nuovi macchinari è minimo.

Fognatura, cavidotti e altri servizi fatti con tubi in PE

Altro impiego, sempre fatto nel passato (almeno in Italia) è utilizzo con più o meno quantita secodo il prezzo della fornitura, viene utilizzato rigenerato sui tubi per fognatura & cavidotti. Mentre una volta si cercava di nascondere l’utilizzo, oggi si porta con la certificazione di “Plastica Seconda Vita” un valore aggiunto per la questione ambientale e recupero della plastica usata ma………

Queste tubazioni fanno parte di infrastrutture dellè Città e la loro qualità dovrebbe garantire una lunga durata nel tempo per non produrre disservizi, inquinamento dovuto a perdite ( rispetto ambiente e terreno) e la riprova che in Paesi europei si usa moltissimo il PP come materiale più performante ne è una riprova.

Poi non è cosi evidente a tutti che con il materiale plastico rigenerato si possono fare milioni di prodotti alternativi ai tubi

Questo è il pensiero di chi crede nella Plastica in PE e PP con tutte la garanzie del caso

  1. Utilizzo della materia prima vergine
  2. Macchine performanti nell’estrusione del Tubo
  3. Posa corretta secondo la normativa vigente

Una frase importante ” Meglio spendere costruendo bene, che risparmiare per dover rintervenire e spendere di più “

Vorrei aggiungere una considerazione fatta da un Amico sicuramente molto competente sull’argomento e che esprime in maniera chiara il mio pensiero

…fermo restando che proprio in virtù del fatto che la plastica non è riciclabile infinite volte (bensì per massimo due volte, generalmente) e non è utilizzabile per gli stessi impieghi di prima vita, onde evitare il moltiplicarsi di discariche e incenerimenti (problematici ad esempio con materiali tipo PVC), i materiali plastici andrebbero utilizzati in campi di impiego ottimali e necessari (lì dove performano al massimo) e non in maniera in disciplinata e sconsiderata. In tal senso, la durabilità di un prodotto in plastica, più ancora della possibilità di riciclarlo a fine vita, rappresenta un indubitabile PLUS.

SALDATORI MATERIE PLASTICHE (9737-13067)

La qualifica dei saldatori di materie plastiche avviene secondo la norma UNI 9737:2021. Tale norma chiarisce e integra i requisiti minimi previsti dalla UNI EN 13067:2021 per la qualifica del personale addetto alla saldatura di componenti (es. tubi e raccordi) di polietilene e polipropilene, per il convogliamento di gas combustibili, di acqua e di altri fluidi in pressione che utilizzano i procedimenti ad elementi termici per contatto e a elettrofusione.

La norma si applica ai seguenti processi di saldatura:
– saldatura a gas caldo: con ugello tondo, ad alta velocità con ugello, con cuneo;
– saldatura per estrusione;
– saldatura con attrezzo caldo: testa a testa, sella, bicchiere, cuneo;
– saldatura per elettrofusione: bicchiere, sella;
– saldatura chimica (incollaggio): bicchiere.

La nuova versione di questa norma introduce un nuovo materiale ma lascia invariate le modalità di qualificazione dei saldatori per le tubazioni in polietilene PE100-RC

Corso patentino per saldatori tubi in PE

Corso di abilitazione al Patentino di saldatura su materiale polietilene è un requisito indispensabile
per redigere una completa e regolare Dichiarazione di Conformità secondo l’obbligo indicato agli installatori nel Decreto 37/08.

Il corso è forma e qualificare i partecipanti nella saldatura di tubi e raccordi in polietilene secondo
la norma UNI 9737:2007

Destinatari

Il corso è rivolto a coloro che, nella loro professione, necessitano della qualifica di saldatore per tubazioni in polietilene indispensabile su ogni lavoro che comprende tubazioni in PE

Corsi

Il corso generalmente prevede quattro tipologie di qualifica:

  • PE-2: Processo di saldatura ad elementi termici per contatto di giunti testa a testa di tubi e/o raccordi di diametro esterno minore o uguale a 315 mm.
  • PE-2-D: Processo di saldatura ad elementi termini per contatto di giunti in testa a testa di tubi e/o raccordi di diametro esterno maggiore di 315 mm.
  • PE-3: Processo di saldatura ad elettrofusione di giunti ottenuti con manicotto (ad inserimento) di tubi e/o raccordi di diametro esterno minore o uguale a 225 mm e di giunti ottenuti con raccordi di derivazione di qualsiasi diametro.
  • PE-3-D: Processo di saldatura ad elettrofusione di giunti, di tubi e/o raccordi di diametro esterno
    maggiore a 225 mm.

Contenuti corso

Il programma conforme alla norma UNI 9737:2007 si sviluppa nei seguenti temi:

° Proprietà e caratteristiche chimico-fisiche del PE

° Caratteristiche di tubi e raccordi in PE;

° Sistemi di giunzione (elettrofusione e polifusione testa/testa);

° Macchine saldatrici e attrezzature ausiliarie;

° Normative del settore (posa in opera);

° Interventi di manutenzione sulle reti in PE;

° Igiene e sicurezza sui cantieri;

La seduta d’esame viene svolta il giorno successivo alla fine del corso alla presenza di un funzionario dell’Ente Certificatore e comporta:

  • una prova teorica (questionario scritto)
  • una prova pratica (esecuzione dei saggi richiesti dalla norma UNI 9737:2007

I saggi eseguiti dai candidati vengono successivamente sottoposti ad esame distruttivo presso laboratorio autorizzato. Se l’esito finale è positivo, viene rilasciato alla Società dell’Ente Certificatore il certificato inerente la qualifica richiesta, a nome del candidato, secondo quanto previsto dalla norma UNI 9737:2007.

Rilascio patentino

Il Certificato ha una validità di due anni. Al termine, è possibile prolungarne la durata, di ulteriori due anni, mediante dichiarazione del datore di lavoro che attesti la continuità dell’attività di saldatura nei precedenti due anni.
Al termine dei quattro anni occorrerà sostenere nuovamente l’esame

Progettare impianti di acquedotti del servizio idrico integrato

criteri di scelta tra un acciaio inossidabile AISI 304 e un AISI 316

Nel caso della progettazione di impianti per la distribuzione di acqua potabile che utilizzano anche ipoclorito di sodio per la disinfezione risulta fondamentale, per esempio, la scelta del materiale per le tubazioni delle camere di manovra dei serbatoi.

Solitamente, questa scelta dipende da vari fattori. Vediamo insieme i parametri principali da considerare:

  • concentrazione degli agenti aggressivi (es. ioni cloro e fluoro)
  • temperatura di esercizio
  • velocità del fluido sulle pareti del materiale
  • finitura superficiale
  • collegamento con altri materiali.

A parità di parametri, nessuno di quelli sopracitati può farci propendere per un AISI 304 rispetto ad un AISI 316. E’ necessario, di conseguenza, prendere in  considerazione altri fattori più specifici.

Gli altri fattori da prendere in esame sono i seguenti.

PER IL MATERIALE

  • composizione chimica
  • struttura
  • disegno del particolare
  • modalità di messa in opera.

PER L’AGENTE CORROSIVO

  • composizione chimica
  • concentrazione
  • temperatura
  • velocità relativa rispetto al materiale

pros and the cons – (pro e contro)

differenze sostanziali nella composizione chimica tra acciaio inox AISI 304 e 316 sono:

  • la presenza di molibdeno
  • una concentrazione più elevata di Nickel.

L’AISI 316, di conseguenza, risulta più resistente dell’AISI 304 a diversi fattori quali:

  • esposizione in ambienti salini
  • aggressione da cloruri.

Bisogna però considerare che l’AISI 316 non è del tutto immune in presenza di determinate concentrazioni di cloruri. Parlando di tubature, quindi, il fattore che può fare la differenza (più che la struttura e il disegno del particolare) è la modalità di messa in opera. Se siamo in presenza di saldature, il consiglio è sempre lo stesso: utilizzare acciai a basso tenore di Carbonio (AISI 304L – AISI 316L).

Metodi di disinfezione acquedotti: a cosa fare attenzione?

La clorazione è il metodo di disinfezione più diffuso per l’igienicità dell’acqua, anche se, di base, l’ipoclorito di sodio non ha mai un buon effetto sull’acciaio inox. E’ vero, però, che la concentrazione dei cloruri diventa aggressiva nei confronti di questi acciai quando supera i 300 ppm (parti per milione). Per cui, una percentuale dello 0.4 mg/L è ben al di sotto della soglia problematica.

Oltre a quello appena detto, anche la temperatura e la bassa concentrazione di cloruri non dovrebbero dare problemi di esalazioni a lungo termine in luogo chiuso. Risulta, però, sempre consigliabile un’areazione periodica delle zone coinvolte. La velocità relativa rispetto al materiale, non varia per entrambe le scelte. In conclusione, un AISI 304 potrebbe essere sufficiente per questo utilizzo ma, considerata la sempre più elevata presenza di cloro e di sali minerali nell’acqua potabile è consigliabile optare per un AISI 316.

Tecnologia No dig

Articoli Tecnici & Normative

Le tecnologie no-dig (dall’inglese no-digging ovvero “senza scavo”) o trenchless (“senza trincee”) permettono la posa in opera di tubazioni e cavi interrati o il recupero funzionale (parziale, totale, o la sostituzione) di condotte interrate esistenti senza ricorrere agli scavi a cielo aperto (open trench/oper cut), evitando la manomissione del manto superficie (di strade, ferrovie, aeroporti, boschi, fiumi e canali, aree ad alto valore ambientale, aree ad elevato interesse archeologico, aree fortemente antropizzate, contesti urbani, ecc.) eliminando così pesanti e negativi impatti sull’ambiente sia naturale che costruito dall’uomo, sul paesaggio, sulle strutture superficiali e sulle infrastrutture di trasporto.

Riportato su Wikipepa

Nella mia lunga esperienza lavorativa ho avuto la fortuna di lavorare come promotore di Tubazioni studiate appositamente per questa tipologia di eseguzione, per evitare sorprese poco piacevoli di tubi in pressione, che incisi o lacerati da Rocce presenti nel tratto scelto per operare ma non rilevate al momento dello studio, richiedevono la loro immediata sostituzione o obbligo ad intervenire dopo poco tempo con costi e problemi ambientali

Un esperienza significativa

Fra i rari cantieri, pochi in quel periodo, esperienza più significativa e stato il passaggio di due tubi D 560 nel Porto Canale di Pesaro, per il passaggio di Fognatura in Pressione.

Il tubo IN PE 100 Rc con corrazza in Polipropilene per garantire una maggior sicurezza alle incisioni durante la lavorazione rispetto ad un semplice PE 100 RC resistente ai Carichi Puntuali ed eventuali indisioni dovuti al trascinamento nel cantiere (poche volte si usano i Rulli di Supporto) ma non certamente a Rocce Taglienti o Masse di Sassi presenti nel territorio.

Oggi abbiamo un notevole aumento di questa tipologia di lavorazioni, grazia a Imprese che hanno aumentato la loro professionalità anche in questo ambito,con un ritorno dal punto di vista economico e ambientale. La cosa che si è persa, nonostante il maggior numero di Aziende qualificate per fare un Tubo PE RC con Corazza valido sul mercato, utilizzo di questo Tubo a discapito di una garanzia nella riuscita nel tempo del Tubo maggiore.

Forse andrebbe preso in esame questo vecchio Schema sempre attuale dove si mette in evidenza, secondo il materiale, il rischio di lacerazione del Tubo la sua Durata e la sua Vita

Tecnologie No dig

Tubo PE 100 Corazzato

Allaccio Idrico Utenza

L’allacciamento è l’operazione che consente di collegare l’impianto del cliente finale alla rete locale di distribuzione alla condotta idrica (acqua) derivata dalla condotta principale, che consente di erogare il servizio a uno o più utenti. Importanza per Ente distributore del Servizio è

  1. Fornire Acqua con tutte le garanzie che si tratti di acqua per consumo umano
  2. Evitare perdite che, oltre a perdere un bene prezioso come acqua, crerebbe un minor fatturato e pertanto ridurre la possibilità di nuovi investimenti

Distribuzione per ogni utente

Arrivati alla base del nostro utente/i viene eseguito con un sistema a Parete o a Pozzetto in un luogo, possibilmente all’esterno della proprietà, la parte di distribuzione per ogni utenza compresa di valvole, contatore. Oggi la normativa Europea e in Italia di ARERA prevede che ogni Utenza (nucleo famigliare o attività) abbia il suo contatore singolo su cui operatore può agire. Nei vecchi palazzi o nei vecchi edifici anche anni 90 ed oltre esiste tuttora un contatore unico condominiale.

Nelle nuove costruzioni dove viene applicata la suddivisione dei contatori per utente viene utilizzato ancora per un 70% la soluzione di costrure colonnine dove applicare i collettori con il metodo

Tronchetti in Ottone Nichelato

Raccordi in Ottone Nichelato o Raccordi di altro materiale

Con questa composizione sicuramente avremo dei vantaggi ma:

Ogni punto di giunzione è un potenziale punto di perdita, dovuto a montaggio non conforme o con il tempo il degradamento della canapa con le varie temperature (anche se oggi sarebbe consigliato/obbligatorio uso del Teflon per uso alimentare- In questo Schema ogni Raccordo a Croce ha 4 Punti di possibili perdite.

Importanza di dare Acqua Potabile al nostro utente, considerando che potremmo avere della raccorderia o colonnine in ottone garantite per acqua potabile, ma nella lavorazione sicuramente resta sempre dello sporco.

Soluzioni Alternative

Da anni Enti presenti sul nostro territorio sparsi a macchia d’olio, hanno sostituito, con colonne portanti pre costruite, la composizione raccordi e tronchetti garantendo principalmente la riduzione di perdite presente nei punti di collegamento dei raccordi.

Inizialmente, anche ora in minima parte, venivano usati Collettori (nome delle colonne portanti o Barilotti secondo le zone) in Acciaio al carbonio forse prendendo spunto dai Collettori per il Gas. Oggi si è passato all’Acciaio Inox 304/316 che garantisce una maggior durata nel tempo e una garanzia nella potabilità dell’Acqua.

Oggi possiamo trovare sul mercato anche un prodotto, che non solo garantisce la DM 174 (un autocertificazione dopo aver fatto una prova di laboratorio su di un campione) ma un Certificato di Prodotto che garantisce tutto il ciclo produttivo del manufatto idoneo ad uso potabile, non solo i materiali ma la completa realizzazione. Oggi all’Estero è obbligatorio certificare il prodotto finito, non solo i singoli componenti che vengono assemblati.